Il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed al-Nahyan, ha affermato che le sanzioni americane imposte alla Siria rendono “difficile” giungere a una risoluzione del conflitto. Nello specifico il figlio del fondatore degli UAE ha criticato il “Caesar Act”, un vasto pacchetto di sanzioni promulgato l’estate scorsa dall’amministrazione Trump.
Secondo il funzionario emiratino è inoltre “inevitabile” il ritorno della Siria di Bashar al-Assad all’interno della Lega Araba; il paese è stato infatti sospeso dall’organizzazione nel novembre del 2011, a seguito delle violenze governative contro i manifestanti anti-regime.
Queste dichiarazioni giungono in un momento di particolare difficoltà per l’economia siriana, con la sterlina locale che viaggia a un cambio superiore a 4000 SYP : 1$; sul banco degli imputati non vi sono però solo le sanzioni americane, ma anche e soprattutto l’endemica corruzione del regime siriano.
Non è la prima volta che Abu Dhabi si espone pubblicamente per il reintegro della Siria di Assad nella comunità internazionale. Gli Emirati Arabi Uniti sono stati infatti il primo paese a riaprire l’ambasciata in Siria a Damasco, ristabilendo i pieni rapporti diplomatici nel dicembre del 2018.
Nei mesi precedenti inoltre i funzionari emiratini si erano occupati di finanziare economicamente la resa di alcuni milizie ribelli nel sud della Siria, che ancora si opponevano al regime di Bashar al-Assad. Nel marzo del 2019 infine Mohammed bin Zayed, de-facto leader degli UAE, ha dichiarato di aver personalmente telefonato a Bashar al-Assad, promettendo un sostegno contro la lotta al Covid-19 in Siria.
L’interesse degli UAE verso la Siria è motivato dal desiderio di riportare la frammentata nazione, ostaggio di molteplici paesi esteri, all’interno del mondo arabo. Abu Dhabi desidera quindi ottenere una propria sfera d’influenza a Damasco, che possa controbilanciare il ruolo svolto nel conflitto siriano dall’Iran e soprattutto dalla Turchia, due potenze non-arabe regionali.
Mohammed bin Zayed sembra inoltre interessato a rafforzare gli autoritarismi arabi ostili ai movimenti democratici ed islamisti; alcuni esempi sono la partnership con l’egiziano al-Sisi, o il sostegno al signore della guerra libico Khalifa Haftar. L’offensiva di Abu Dhabi verso Washington rischia però di rimanere inascoltata.
La Siria non è una priorità dell’amministrazione Biden, la quale in politica estera è più concentrata su Russia e Cina, e in medio oriente gli sforzi sono devoluti interamente al recupero dell’accordo sul nucleare iraniano. Ufficialmente la campagna di Biden ha inoltre escluso un’apertura ad Assad, la rimozione delle sanzioni e il finanziamento della ricostruzione del paese.